L’amianto è un elemento formato dall’insieme di più minerali, tra i quali i gli inosilicati e i fillosilicati. Esso si forma quando il minerale originale viene esposto a dei particolari processi idrotermali caratterizzati dalle basse temperature. In natura l’amianto è piuttosto comune. Grazie alla sua alta resistenza al calore venne per molti anni utilizzato sia nel settore tessile, dando origine ad un tessuto a prova di fuoco, che in campo edile, dove, mescolato con il cemento, ha assunto il nominativo di eternit.
L’amianto è però noto per la sua nocività e tossicità; proprio per questo motivo dal 1992 la legge italiana vieta il suo utilizzo e tutela i lavoratori che hanno lavorato per lunghi periodi a stretto contatto con questo particolare materiale. Le polveri dell’amianto, se inalate, possono infatti provocare nell’uomo patologie anche molto gravi, come tumori e carcinomi. L’eternit è stato utilizzato sin dagli inizi del Novecento, a seguito della sua scoperta avvenuta nel 1902, proprio perché considerato uno dei materiali maggiormente resistenti in edilizia. Venne utilizzato all’interno delle fabbriche per la realizzazione di tetti e coperture e persino per la costruzione di acquedotti. Per tutto il secolo l’eternit ha dominato il mercato edile, grazie alle sue proprietà, ma soprattutto in quanto ancora non era nota la sua tossicità. I problemi sanitari in Italia iniziarono negli anni ’60, quando le coperture di eternit utilizzate nei luoghi più disparati, persino nelle stalle e negli ovili, cominciarono la loro usura, sbriciolandosi. Contemporaneamente iniziarono i primi casi di tumori e di carcinomi, con un’evidente corrispondenza con l’amianto. Nonostante questo i successivi venti anni furono caratterizzati da una prosecuzione della produzione dell’eternit e dell’utilizzo dell’amianto nei luoghi pubblici e privati. Solamente nel 1989 in Italia incominciò la lunga fase di bonifica che ad oggi non appare ancora del tutto completata.
Come bonificare una zona dove c’è amianto
Esistono tre metodi che consentono di bonificare un’area all’interno della quale è presente l’amianto.
Il primo metodo è quello della rimozione. Si tratta di eliminare letteralmente la fonte che causa il rischio di tossicità. Questo metodo è quello che viene generalmente utilizzato in quanto consente di eliminare la possibilità di contrarre patologie o di venire a contatto con l’amianto, agendo direttamente sulla fonte di esposizione. Il problema della messa in atto di questa metodologia è che i lavoratori responsabili della bonifica possono contrarre patologie conseguenti all’esposizione all’amianto. Inoltre una volta rimosso l’amianto dovrà essere smaltito e tale operazione provoca la produzione di rifiuti tossici in quantità molto elevate, che dovranno essere a loro volta smaltite mediante determinati procedimenti, incrementando i costi e i tempi dell’intervento.
La seconda metodologia è invece quella dell’incapsulamento, che invece consiste nel gettare su questo minerale dei prodotti che penetrano all’interno e lo ricoprono completamente, impregnandolo. Si tratta di un’operazione molto più rapida rispetto a quella precedente, e in questa si riducono drasticamente i rischi e i costi. Non è però del tutto sicura, e l’incapsulamento dovrà essere periodicamente monitorato in modo tale da assicurarsi che la pellicola formatasi si sia danneggiata o alterata.
Infine, il terzo metodo utilizzato in caso di bonifica è il cosiddetto confinamento, che prevede l’installazione di vere e proprie barriere che consentano di isolare l’area considerata inquinata dall’ambiente. E’ utilizzata generalmente all’interno di edifici all’interno dei quali è presente l’amianto, sotto la forma di eternit. Tale operazione però deve essere combinata con la metodologia dell’incapsulamento per ridurre il rischio di contrarre patologie. Grazie a queste barriere si evita la possibilità che gli urti possano in qualche modo favorire lo sbriciolamento dell’amianto. I costi anche in questo caso sono ridotti, a meno che l’intervento non preveda lo spostamento di impianti e macchinari utilizzati all’interno dell’edificio.
La fase di trasporto dell’amianto
Oltre alle operazioni di bonifica esiste un’ulteriore fase nella gestione dell’amianto che risulta essere molto importante e delicata: il trasporto. Questa operazione potrà essere svolta solamente da aziende e da imprese autorizzate. Non solo. Tali aziende dovranno essere iscritte all’Albo Nazionale Gestori Ambientali che prevede l’obbligo di esporre sui mezzi utilizzati per il trasporto dell’amianto la segnalazione apposita e di etichettare i colli trasportati con l’adesivo giallo con la ”R” di colore nero.
Il trasporto su strada inoltre è sottoposto a quanto previsto dall’ADR, essendo l’amianto uno dei materiali maggiormente pericolosi trasportabili. L’ADR prevede che vengano presi provvedimenti differenti a seconda dell’amianto trasportato (blu, bruno o bianco). Nel caso in cui si è in presenza di amianto di tipo blu e bruno, l’ADR impone un limite alla quantità trasportata, e gli imballaggi dovranno essere combinati, con limiti di peso. Il trasporto, in questo caso, potrà raggiungere un peso massimo di trecentotrentatré chilogrammi. I colli non possono inoltre essere trasportati in mezzi scoperti. Per il trasporto di amianto bianco, invece, incrementa, secondo le disposizioni dell’ADR, il peso dell’imballaggio per singoli colli e il peso massimo totale trasportato è aumentato a mille chilogrammi. I tipi di imballaggio invece sono i medesimi e non variano a seconda del tipo di amianto trasportato. Le disposizioni dell’ADR decadono totalmente se vengono trasportati materiali contenenti amianto o eternit, ma del tutto incapsulati con materiali naturali o artificiali previsti in fase di bonifica. In questo modo, non essendoci il rischio di dispersione delle polveri di amianto nell’ambiente, non esistono prescrizioni e disposizione, se non quelle di realizzare il medesimo imballaggio a fini preventivi. Questi imballaggi unitamente ad un trasporto realizzato con queste modalità possono però incrementare i costi dell’operazione generale di smaltimento.
Il big bag per l’amianto: efficiente e sicuro
Esiste però un modo molto economico che consente di ottenere un imballaggio sicuro per il trasporto dell’amianto. Si tratta dei cosiddetti sacchi Big Bag per l’amianto come quelli prodotti da Minini Spa. Hanno ottenuto l’omologazione ONU. Questi sacchi, semplici da utilizzare, possiedono una chiusura sulla parte superiore, mentre risultano del tutto chiusi sul fondo. Sono stati realizzati in modo tale da contenere l’amianto, senza che vi sia alcun rischio di impermeabilità o di filtraggio di polveri e residui. Dunque sono stati creati proprio con lo scopo di trasportare in totale sicurezza materiali pericolosi e altamente tossici come l’amianto nelle aree previste per il loro smaltimento.
I sacchi Big Bag per l’amianto sono facilmente acquistabili in diverse misure e consentono anche il trasporto di lastre di eternit. Secondo recenti studi questo tipo di sacco risulta essere ancor più efficace rispetto al tradizionale imballaggio, senza contare che i costi si riducono notevolmente. I prezzi possono variare dai 12 Euro ai 25 Euro per ogni singolo sacco, a seconda della grandezza, oppure incrementare se si richiede la realizzazione di un sacco Big Bag con dimensioni diverse da quelle standard. Questi sono sacchi monouso, rinforzati in modo tale da poter resistere al peso, rappresentano la svolta nell’ambito del trasporto e dello smaltimento di rifiuti pericolosi. Infatti è il prodotto più acquistato dalle imprese iscritte all’Albo Nazionale Gestori Ambientali nell’ultimo anno, statistica che evidenzia l’efficacia, la semplicità e il risparmio che offre questo tipo di prodotto. Il Big Bag quindi rappresenta la soluzione ideale per il trasporto, nel rispetto totale delle normative in materia di sicurezza, di materiali come l’amianto.